Intervista: Emiliano Alborghetti, Direttore dell’Accademia SAE Institute. Emiliano vanta una lunga carriera nell’ambito della produzione musicale, con lavori di rilevanza nazionale e internazionale. Si dedica anche all’attività di docenza, ma principalmente è coordinatore del SAE Institute Milano, una scuola che offre corsi di Produzione Audio e Video, Game Design, Music Business, Produzione di Musica Elettronica e altri percorsi artistici professionali.
Per quale motivo secondo lei la Corea del Sud nell’ultimo decennio ha avuto un’ascesa così importante?
Non è che l’ascesa sia di un tipo particolare. Il mercato locale delle economie dell’estremo oriente più avanzate esistono da prima degli ultimi dieci anni. Sono sempre stati mercati pesantemente caratterizzati dai mercati interni per diversi fattori, come i fattori culturali e sociali e anche fattori di tipologie di mercati, anche solo a livelli di supporti e sistemi e di fruizione di prodotti discografici sono sempre stati molto diversi dai mercati occidentali. Forse si parla di ascesa, in termini di ascesa nel mercato globale, che penso sia dovuto non tanto dal prodotto musicale in sé, quanto ai settori correlati di circolazione di contenuti in rete tramite social; credo che sia prima arrivato il modello estetico e il modello sottocultura e di conseguenza è arrivato poi il prodotto nel mercato musicale.
“L’industria discografica coreana presenta delle caratteristiche uniche nel suo genere come: artisti creati a tavolino, fenomeno degli idol, generi contenenti moltissime influenze musicali diverse e coreografie ad hoc. ” Secondo lei, può una di queste peculiarità essere integrata con successo nel mercato musicale italiano?
C’è un tema che a volte è anche abusato nelle posizioni ideologiche che ne derivano, che è quello dell’appropriazione culturale. Questo tema potrebbe rappresentare un ostacolo ideologico importante, nel momento in cui si da una connotazione “morale” di appropriazione culturale che potrebbe impedire di accogliere e anche elaborare certe forme. È anche vero che è più forse un modello, un paradigma del contesto dell’estremo oriente che comprende culture che si sono costruite nella loro identità moderna attraverso la rielaborazione e l’appropriazione simbolica dei Paesi del contesto in cui si inseriscono. I Paesi orientali hanno degli strumenti per attuare questa rielaborazione, ricostruendo un’identità che ne aggiunge un qualcosa specifico loro. Se parliamo del mercato musicale italiano parliamo di un meccanismo diverso, molto legato all’aderenza degli standard prettamente anglo centrici. Per rispondere alla domanda, non so se l’Italia possiede gli strumenti per eseguire un’operazione culturale di questo tipo.
Assodato che la scena pop italiana punta su un’estetica basata in gran misura sull’apparenza, che spesso rappresenta un marchio di fabbrica dell’artista, è giusto ritenere tale fattore appartenente anche all’industria coreana?
Credo che qui il tema comune sia il concetto di stile, che fa parte degli studi culturali. Probabilmente in Italia e nel mercato italiano è più direzionale il fattore stilistico nel definire un’identità, prima ancora dell’identità musicale. Nel mercato coreano è invece multidirezionale, riuscendo a combinare elementi di stile comuni con degli elementi di individualità. Nel caso del K-pop i codici stilistici sono più condivisi, anche negli stili più peculiari e riconosciuti dalla società, o comunque dal pubblico; mentre in Italia, gli stili estetici magari della trap sono particolarmente incomprensibili, dai tatuaggi sui volti, all’uso e applicazione dei colori, al modello di scarpe etc. Di contro sicuramente la costruzione dell’identità, nel caso del K-pop, risponde a dei tipi ben precisi, sembra quasi una messa in scena teatrale delle loro tradizioni.
La crescita esponenziale di ascolti in tutto il mondo di musica cantata proveniente dalla Corea dimostra che oramai la barriera linguistica risulta pressoché superata. Ritiene che tale fenomeno possa vedere l’Italia come protagonista in un futuro prossimo?
Ho lavorato un po’ di anni a fianco ad un ingegnere, tecnico del suono e produttore americano, che si è trovato spesso però a lavorare con artisti italiani main-stream e spesso non capiva la lingua italiana. Una volta, siamo stati coinvolti in un progetto di un artista italiano che aveva fatto dei brani in inglese; dopo averli ascoltati ha pensato che non fossero assolutamente adatti al mercato americano e che potevano sembrare incomprensibili. Mi spiegò che a livello di percezione, la musica italiana cantata in italiano viene accettata come tale nel momento in cui arriva la credibilità di esoticismo, ovvero quando risponde a certi aspetti particolarmente radicati in cose che vanno da Caruso in poi.
Esiste quindi un limite per l’italiano che ha questa matrice a livello di ricezione culturale molto profonda, radicata da quando nasce la discografia e anche da prima. Per concludere con una nota un po’ polemica massimalista, forse il mercato ed anche la società italiana dovrebbero imparare a guardarsi meglio per capire com’è visto da fuori, invece questo fattore ancora credo che manchi…interessa più capire come sono visti dall’interno definendo già a priori determinati segmenti di mercato.
Seguendo il discorso precedente, la fanbase è senza dubbio una delle certezze più grandi per quanto riguarda l’economia di un artista. Sarà mai possibile osservare gli stessi fenomeni di fandom inerenti agli artisti coreani legati però ad un artista italiano?
Credo che ci siano dei presupposti comuni, ad esempio la trap mi sembra che abbia moltissimo potenziale. La differenza che vedo forse è legata a tutti gli elementi di mercato che parlano della definizione di stile: banalmente, gli idol come prodotto, non sono costituiti solo dal prodotto discografico e dall’artista e tutto quello che c’è attorno, ma sono costituiti da una potenza di fuoco di costruzione del merchandise e di penetrazione del marchio che in Italia non esiste.
Il governo coreano si è sempre espresso positivamente circa gli investimenti nell’ambito dell’arte e della cultura del proprio paese, favorendo di fatto il fenomeno del Hallyu. l’industria discografica italiana sta procedendo nel modo corretto per accrescere un maggiore interesse internazionale su questi due fattori? Se NO, cosa dovrebbe modificare?
La differenza riguarda principalmente le policies interne di politiche governo, al di là della direzione strategica o degli sforzi o delle energie dei settori economici, ma per un problema costrutturale. Un sistema economico in sé ha delle dinamiche strutturali che inevitabilmente non possono portare in certe direzioni le strategie, se non integrate da politiche di supporto a livello governativo o legislativo. In Italia questo lo descriverei come un argomento “sanguinante”.
Intervista: Emiliano Alborghetti, fonti
Tratto dalla ricerca per il Sae Institute di Milano, Diploma Accademico di primo livello in Produzione Audio / 32C0-ABST56 – Sociologia dei nuovi media
Team Leader: Giulia Giardina
Studenti: Alessandro Bonacina, Andrea Cantamessa, Giulia Giardina, Mario Covaliu, Samuele Bergamini
Domande all’organizzatore K-Pop poste da Andrea Cantamessa
Data di consegna: 21/02/2021
Docente: Alessandra Micalizzi
SAE Italia S.r.l. International Technology College
Altri capitoli della stessa ricerca sul mercato Hallyu di cultura coreana:
Hallyu: cultura coreana in occidente
Il mercato discografico in Corea del Sud
Industria cinematografica e K-drama
Intervista sul K-Pop all’organizzatore di eventi Silvio Franceschinelli
Intervista: Dino Lupelli