Nice View di Wen Muyue

Nice View di Wen Muyue

Nel film Nice View di Wen Muyue, Jing Hao è un bravo e impegnato ragazzo che si dà da fare per tirare avanti grazie al suo negozietto di rivendita e assistenza cellulari. La sua famiglia è costituita solo da sua sorellina che accudisce amorevolmente ma che è affetta da una malattia per cui deve trovare una grossa somma per l’operazione da effettuare entro pochi mesi. Jing Hao non è un tipo che si arrende e la caccia al denaro inizia sin da subito. Sembra girargli bene, trova infatti l’occasione che capita una volta nella vita e che risolverebbe ogni problema legato alla salute della sorella. Naturalmente le cose si metteranno male e noi assisteremo a questa gara contro il tempo e contro gli ostacoli per il raggiungimento dell’obiettivo finale.

Nice View è un film finto ma almeno fatto bene. Il regista conosce la commedia americana, quella dell’uomo del sobborgo cittadino che non pretende nulla ma che si ritrova in una sfida un po’ più grande di lui e che dovrà mettere su pista forze un po’ più forti di quelle che detiene. E’ tutto un po’ di più, ma niente di più. Jing accompagna la sorellina a scuola con la motoretta in un colorato quadretto di vita cittadina dal sapore USA, solo che questo scenario non c’entra nulla con quello dell’iconicità sfrenatamente occidentale. Stesso discorso per quello che riguarda l’accompagnamento musicale che riprende lo schema leggero da commediola tra il drammatico e il divertente. Tutto ciò provoca una sensazione di estraniamento inconciliabile, crea un ponte impossibile con immaginari già codificati ma operanti su altri habitat. Si presenta quindi come un’operazione non credibile e che preannuncia il vero progetto di tutto il film, quello cioè di un propagandistico messaggio che vuole spingere a un atteggiamento da self made man, una brutta e non riuscita copia del sogno americano. 

Bambina che studia
La sorellina del protagonista
Evviva Confucio (sempre vivo!)

Confucio è ancora vivo e, resuscitato dopo l’era del bando totale, è tornato più forte e vigoroso di prima. Con la nuova apertura ai mercati e la necessità di competere con il capitalismo, c’è solo il modello americano grazie al quale si può competere e questo significa adattarne anche gli stessi schemi propagandistici. Ma mentre la propaganda americana è prosecuzione delle energie che hanno dato vita ai primi sommovimenti di una civiltà ai suoi albori, una civiltà che poteva alimentarsi solo grazie alle proprie energie a fronte di un ambiente che, seppur offerente infinite possibilità, era nemico e imprevedibile (in sintesi lo spirito da ultima frontiera), quella cinese è imposta da uno stato che d’un tratto chiede di inseguire i propri sogni, di essere imprenditore di sé stessi. Il risultato cinematografico è buffo, ai limiti del ridicolo, in termini contemporanei “cringe” (provare imbarazzo per qualcun altro). 

La trama di Nice View di Wen Muyue

Jing si troverà a dover affrontare tutti gli ostacoli possibili a partire dall’introduzione della legge sulla limitazione dei cellulari rigenerati (un tema di certo non irresistibile) che fa cascare il castello organizzato mentalmente e i sogni che aveva faticosamente immaginato e preparato, obbligandolo a rimodulare la sua road map. E qui nascono i primi meccanismi che non rendono convincente la narrazione perché inquinata di elementi extra filmici. Ecco il rivenditore che si rifiuta di accettare le condizioni di un seppur disperato Jing (come dire che noi cinesi la legge la rispettiamo fino in fondo, un messaggio che risulta finto perché esibito come manifesto). La corsa di Jing sul motorino per raggiungere sul treno il grande imprenditore inavvicinabile sfocia nella messa in scena del numero “Io non sono nessuno ma ho una grande idea, creda in me” che dialoga con il suo alter ego del “io sono un grande imprenditore ma sono stato come questo ragazzo, mi rivedo in lui, incosciente e impavido”. Scena indigeribile, fasulla in ogni fotogramma.

Lavoratori cinesi
Al lavoro sui telefonini

Jing sarà comunque costretto a tornare a fare il lavavetri di grattacieli, che va riconosciuta come bella metafora di risposta al commento dell’imprenditore su come ai suoi tempi non c’era nulla e ora, grazie all’intraprendenza della società, sono cresciuti questi simboli verticali portatori del messaggio che l’unico limite per le proprie idee è il cielo. “Smettila di lavarli i grattacieli, costruiscili” è il non troppo sotto testo. Non bastante, a causa di una precedente ferita alla mano, rischierà la propria vita e subirà una lavata di capo (anche questa un’ evidente nota sindacale di servizio ai lavoratori) sul perché bisogna rispettare le norme del lavoro. Insomma, cringe doppio cringe.

Jing comunque riuscirà a mettere in campo una squadra da sporca dozzina (ma guarda un po’!) che riuscirà a superare i propri limiti e gli impedimenti trovati a causa di una serie di eventi naturali e non solo.
Se mai ci fossero stati dubbi sulla non sincera operazione artistica, la conferma arriva dalla scritta finale “Dedicated to all workers” con immagini da stock image e repertorio che riprendono veri lavoratori dediti alla costruzione di edifici.

Diamo il benvenuto ai nuovi intangibili monumenti dedicati al lavoratore di questo già smacchiato millennio, dove la retorica di un socialismo reale non è rappresentata dalla luce di un’alba a cui il popolo deve tendere, ma dipendente dal cono di luce proiettato su uno schermo.

Sito ufficiale del Far East Film Festival
Return to dust di Li Ruijun di Daniele Lunghini

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